“Back into the storm” – di Bil Herd

Mancavano pochi giorni alla fine di luglio 2021, faceva caldo, il mondo era ancora alle prese con la pandemia e io avevo decisamente bisogno di una vacanza, di una distrazione, di aria nuova.

Un vecchio detto recita che le cose migliori arrivano quando meno te le aspetti e così, in quel momento di stasi, lessi quasi per caso un post di Bil Herd che annunciava l’uscita del suo libro “Back into the storm“.

Due minuti più tardi lo avevo già acquistato on-line; l’intenzione era quella di leggerlo, con gusto, durante le ferie che sarebbero arrivate qualche giorno più in là. Alla fine me lo sono letteralmente divorato.

Il testo, che è stato scritto in collaborazione con Margaret G. Morabito (autrice di “The vintage Commodore 128 Personal Computer Handbook”), è davvero piacevole e vola via tutto di un fiato.

Bil, con un linguaggio colloquiale, diretto e spontaneo, ha la capacità di portarci indietro nel tempo a quei fantastici e burrascosi anni vissuti alla Commodore. Ci racconta, attraverso tantissimi aneddoti, il suo personalissimo punto di vista: ci affascina descrivendo com’era la vita in Commodore, ci narra dei rapporti con i suoi colleghi, non sempre tranquilli, e ci svela molti dei retroscena del frenetico sviluppo dei computer di cui è stato responsabile e il vorticoso percorso che parte da uno schizzo, passa per il prototipo e giunge a velocità supersonica alle presentazioni ufficiali al Consumer Electronics Show. E’ uno spaccato di vita, interessante sia sul piano umano che storico e industriale.

Per chi ha competenze tecniche il libro offre anche alcuni aneddoti relativi alle scelte progettuali e lo fa sempre con un piacevole stile colloquiale e narrativo; voglio citarne un paio, d’esempio, ma senza svelarne troppo i contenuti.

Il primo risale ai tempi del TED. Bil ci racconta di come sfidò la sorte quando decise di modificare la circuiteria di reset del C116. Si era accorto che i progettisti che lo avevano preceduto avevano commesso un importante errore di design e il circuito di reset non avrebbe funzionato; era deciso a risolvere il problema e identificò una soluzione che prevedeva l’introduzione di un timer 555 ma, quando ne parlò con i colleghi, uscì fuori un bel guaio: in Commodore si era sparsa voce che Jack Tramiel (presidente e fondatore di Commodore) avesse tassativamente fissato a 9 il numero massimo degli integrati presenti sulla scheda, una sorta di limite invalicabile per contenere i costi del prodotto. Il 555 di Bil sarebbe stato il decimo chip, uno oltre il limite, ma lui era fermamente deciso ad andare avanti nonostante i moniti e le derisioni dei colleghi per le ire di Jack che si sarebbero abbattute implacabili! E’ con una certa soddisfazione che l’autore ci fa notare che la sua decisione fu azzeccata e, ironicamente, non venne mai licenziato per questo.

Il secondo aneddoto riguarda un fatto avvenuto qualche tempo più avanti e legato allo sviluppo del C128. Uno dei diktat, un requisito di progetto, era che la nuova macchina dovesse mantenere piena compatibilità col C64 e questo implicava anche la capacità di eseguire il CP/M. Per fare ciò il C64 utilizzava una cartuccia esterna con un processore Z80. La cartuccia del CP/M aveva già mostrato dei problemi sul C64 ma quando Bil la provò sul prototipo del C128 fu un vero disastro. Bil, che non è uno che getta la spugna, era fermamente intenzionato a comprendere e risolvere il problema. Studiando gli schemi della cartuccia si accorse che questa in realtà non era uno sviluppo ad hoc per il C64 ma era stata sommariamente adattata da una scheda CP/M per l’Apple II; probabilmente questo adattamento non era stato fatto a mestiere e andava rivisitato. Inoltre Bil evidenziò che l’impiego di una cartuccia esterna avrebbe aumentato l’assorbimento di corrente e, se questo non era stato un grosso problema sul C64, diventava fatale per il C128 a causa del suo bell’alimentatore switching che inesorabilmente sarebbe andato in protezione; ne conseguiva che mantenere una cartuccia esterna avrebbe reso necessario un alimentatore più performante e quindi più costoso. Sappiate che né Bil né nessun altro de “gli animali” avrebbe mai messo uno Z80 dentro al C128 ma è quello che fecero, prendendo così due piccioni con una fava (il redesign della circuiteria per lo Z80 e il contenimento dell’assorbimento). Sul libro troverete tutti i dettagli di questa vicenda come di molte altre.

Nell’esposizione delle tematiche tecniche viene sempre mantenuto uno stile divulgativo e questo permette a tutti, anche ai non addetti ai lavori, di leggere ogni paragrafo senza perdere il filo logico.

Il volume, 290 pagine, è edito in proprio dall’autore e, almeno per ora, è disponibile solo in inglese. E’ bene sapere che, essendo scritto in modo molto colloquiale, il testo è ricco di frasi idiomatiche: nulla di trascendentale ma la traduzione di qualche periodo dallo stile particolarmente “amichevole” potrebbe risultare non immediata.

Una chicca di “Back into the storm”:

in una delle prime pagine, subito dopo l’avviso di copyright e il numero ISBN, trovate il disclaimer; non fate il grave errore di saltarlo a piè pari come ho fatto io alla prima lettura: non è una noiosa avvertenza legale…

Suggerimento:

Chi è affascinato dalla storia della Commodore potrebbe trovare interessante anche il libro di Brian Bagnal “Sulla cresta… del baratro – La spettacolare ascesa e caduta della Commodore” e qui trovate la mia recensione.

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